Non tutti i chirurghi che effettuano protesi d’anca tengono conto del movimento del bacino del paziente, ovvero del TILT PELVICO.
Il bacino, durante la normale attività quotidiana, cambia spesso posizione.
Nella posizione supina è in antiflessione, cioè girato in avanti.
Nella posizione in piedi è in retroflessione, cioè girato indietro.
Nella posizione seduta aumenta la retroflessione, cioè è ancora più indietro.
Questo movimento del bacino, che varia da individuo a individuo, se non tenuto presente durante l’intervento di protesi d’anca, condiziona il sopravvivere della protesi nel tempo.
Si ottiene il male allineamento del cotile protesico. Questo può causare:
IMPINGEMENT, ovvero il contatto tra il collo dello stelo protesico ed il cotile nei movimenti ampi dell’anca.
Questo causa la MALATTIA DA DETRITI che nel tempo di pochi mesi o anni porta alla mobilizzazione (scollamento asettico) della protesi con fenomeni di sublussazione o LUSSAZIONE FRANCA.
Bisogna Personalizzare la Protesi d’anca, rispettando il TILT PELVICO del paziente.
In questo modo si può garantire anche una maggiore durata dell’impianto nel corso del tempo.
Per artrosi si intende sempre la degenerazione di un ingranaggio articolare con superfici lisce contrapposte rivestite dalla cartilagine e connesse con legamenti e capsula. Sono i muscoli, i motori che fanno muovere tale ingranaggio con la inserzione dei loro tendini su entrambi i versanti.
Le cause del rovinio della Cartilagine di rivestimento delle superfici sono molteplici.
Di natura meccanica:
Di natura sistemica (interessante l’organismo in toto)
Molti chirughi mettono le protesi d’anca, pochi chirughi la “personalizzano”.
Leggi l’articolo completo su “Il giornale”.
Il dolore all’inizio del movimento, riferito all’inguine o posteriore in sede glutea, nei casi di usura moderata. Anche a riposo, nei casi più gravi.
Rigidità dell’articolazione (difficoltà ad indossare le calze, a sedersi sul bidet, etc.) man mano che si aggrava l’usura dell’ingranaggio. Il cammino avviene con passi brevi, a volte con zoppia, per ridurre il dolore.
Nell’anziano può anche essere causa di caduta con rischio di frattura.
La radiografia con eventuale integrazione con T.C. mostra bene il danno artrosico.
Utile la risonanza magnetica quando per la causa di una coxalgia è sospettata una osteonecrosi o un algodistrofia.
Quello incruento si basa sull’uso di farmaci che controllano il dolore e l’infiammazione, o su trattamenti di fisiokinesiterapia che cercano anche di recuperare una buona escursione articolare ed un buon tono muscolare.
Uso di un bastone dal lato opposto per alleggerire il carico sull’anca affetta. Cercare di diminuire di peso per i soggetti over.
Quello cruento (Sostituzione dell’ingranaggio biologico usurato con quello artificiale cioè l’artroprotesi )quando il trattamento incruento non è più sufficiente a controllare i sintomi causati dall’artrosi.
L’artroprotesi d’anca si compone di una parte femorale, lo stelo, e di una parte per l’acetabolo (cavità del bacino dove si articola la testa del femore).
Allo stelo si raccorda, quasi sempre, una testa in ceramica di varie dimensioni.
I disegni sono vari, ma bisogna affidarsi a quelli che hanno già una comprovata validità (per pubblicazioni scientifiche con lunghi follow-up di 10/20 anni).
I materiali sono in titanio o tantalio per le protesi a “Fissazione Biologica” cioè che si ancorano direttamente all’osso. In acciaio e polietilene per quelle che si fissano con il “cemento”.
Importante è collocare bene, cioè ben affrontare, le componenti della protesi. Da questo dipende la sua “sopravvivenza” nel tempo, cioè la sua durata. Il chirurgo, secondo me e così per molti altri colleghi, deve conoscere, prima di eseguire l’impianto della protesi, qual è il movimento del bacino del paziente (cioè il suo Tilt Pelvico, maggiori informazioni nel pdf “La chirurgia protesica”).
Questo infatti influenza nel tempo la sopravvivenza dell’impianto. Il chirurgo potrà prima dell’impianto eseguire un “planning dinamico” (pianificazione), non statico come nel passato. Solo così sarà in grado di affrontare in modo più corretto le componenti della protesi per una sua lunga durata. è il modo migliore per evitare le complicazioni precoci e tardive consistenti nella lussazione e nella mobilizzazione (asettica) della protesi nel tempo.
Dopo che il paziente accetta tale indicazione (avendolo espresso tramite il consenso informato) questo avviene o in anestesia generale o spinale a seconda della scelta dell’anestesista.
Il paziente viene operato in posizione supina. Questa posizione permette di valutare meglio il problema della corretta lunghezza degli arti inferiori durante la procedura chirurgica.
La via chirurgica è nella maggioranza dei casi o laterale o anteriore.
Sempre rispettosa dei criteri della chirurgia mininvasiva e del piano preoperatorio da cui scaturiscono le sostanziali indicazioni per le dimensioni delle componenti della protesi e per il loro orientamento.
Nella maggioranza dei casi il paziente viene mobilizzato dal letto, con ausilio del fisioterapista, sin dalla 2° giornata. Al fine di recuperare al più presto sia la stazione eretta che il cammino.
La riabilitazione verrà continuata, nel rispetto delle scelte del paziente, o a domicilio o inizialmente in regime di ricovero presso un centro di fisiokinesiterapia. Proseguirà, se necessario, in regime ambulatoriale.
Questa, a seconda dell’età, di eventuali patologie concomitanti, e della collaborazione del soggetto avrà una durata media di 20/40 giorni.
In accordo con il chirurgo, eseguirà poi, controlli periodici dell’impianto protesico.
Più del disegno, cioè di come è fatta la protesi, importantissimo è COME LA SI COLLOCA.
Cioè di come si affrontano le sue componenti (Cotile e Stelo con la sua testina).
Nella nostra esperienza di qualche migliaio di protesi d’anca non abbiamo mai avuto casi di lussazione, nè di rimozione precoce per loro mobilizzazione.
Molti chirughi mettono le protesi d’anca, pochi chirughi la “personalizzano”.
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