Il ginocchio è un ingranaggio complesso formato dal femore, dalla tibia e dalla rotula, suddiviso in tre compartimenti: femoro-tibiale interno, femoro-tibiale esterno, femoro-rotuleo.
La tibia ed il femore sono uniti da legamenti interni( lig.crociato anteriore e posteriore) ed esterni a rinforzare la capsula (lig.collaterali mediale e laterale).
All’interno, a rendere congrue le superfici articolari, vi sono due guarnizioni: i Menischi (mediale e laterale).
I legamenti crociati rendono possibile un Roto-Scivolamento durante la flessione, rendendo possibile una grande Articolarità che altrimenti porterebbe a lussazione delle componenti.
Un movimento di contemporanea intra-extrarotazione avviene nei primi e negli ultimi gradi della flesso-estensione.
Quindi un ingranaggio con Cinematica complessa la cui Cartilagine di rivestimento delle superfici ossee tende ad Usurarsi per vari motivi.
Vi sono cause meccaniche e sistemiche.
Quelle meccaniche sono dovute o ad alterazione post-traumatica delle superfici articolari (fratture, distorsioni gravi con lesione dei crociati e conseguente danno cartilagineo) o un alterato allineamento tra femore e tibia che porta la tibia (osso della gamba) a trovarsi più in fuori (ginocchio valgo)
o più in dentro (ginocchio varo). Questo in genere si associa ad anomalie torsionali di tutto l’arto inferiore.
Si comprende perchè la cartilagine di rivestimento delle superfici articolari tende ad usurarsi precocemente specie se il soggetto fa attività lavorative gravose o sportive che prevedono il salto e la corsa o se è in sovrappeso.
Le cause sistemiche sono: malattie infiammatorie (Artrite Reumatoide, Connettiviti, Vasculopatie etc…), malattie con alterazione del metabolismo dei grassi e delle proteine (Colesterolo, Trigliceridi, Ac. Urico)Queste possono causare “Osteonecrosi”: cioè morte di tratti di osso con relativa cartilagine e quindi lo scatenarsi dell’artrosi.
L’alterato metabolismo degli zuccheri cioè uno stato diabetico può favorire il manifestarsi di un’artrite settica (infezione dell’ingranaggio).
Il dolore al carico cioè quando si passa dalla posizione seduta a quella in piedi oppure ai primi passi del mattino quando ci si alza dal letto (riferito spesso sul lato mediale del ginocchio) dolore ancora, nel salire le scale, accompagnato a volte a senso di cedimento della gamba quando le si scendono.
Comparsa di tumefazione (versamento di liquido all’interno dell’articolazione) che il più delle volte si raccoglie dietro nel cavo del poplite (falsa cisti, chiamata cisti di Baker).
Il dolore nei casi più gravi costringe alla zoppia e può causare caduta con i rischi di frattura specie nel paziente anziano. Questo può accadere perchè con il progredire dell’artrosi il ginocchio tende alla rigidità in flessione condizionando la sicurezza del cammino.
Un esame radiologico con il paziente in piedi (in carico) è già in grado di dare ottimi ragguagli.
Troviamo che, la classificazione dell’artrosi del ginocchio sec., Ahlback (basata su questo tipo di indagine e che considera il restringimento o la scomparsa della rima articolare), sia utile al chirurgo ortopedico per le sue decisioni terapeutiche. Tratti di osso sclerotico, becchi ossei (osteofiti), o piccole lacune intra-ossee (geodi) oltre al restringimento della rima (espressione indiretta dell’usura della cartilagine ) sono le espressioni della malattia artrosica sia all’esame radiologico che alla T.C.
La R.M. può essere utile negli stadi iniziali per individuare eventuale presenza di lesioni da usura di altri componenti articolari (menischi, legamenti) e la reazione edematosa dell’osso subcondrale.
L’artrosi può, negli stadi iniziali, avvantaggiarsi del trattamento incruento Es. col Calore, con la F.K.T. che si occupa di riabilitare il ginocchio affetto mantenendo la sua escursione la più completa possibile anche con esercizi in acqua, rilassando e tonificando la muscolatura della coscia e gamba.
Il paziente negli stadi iniziali può ricorrere a farmaci antinfiammatori / protettori della cartilagine. Questi (es. cortisone o ac. jaluronico) posso essere somministrati anche con infiltrazioni.
Quando il trattamento incruento non è piu in grado di dare vantaggi duraturi il paziente dovrà sottoporsi al trattamento cruento. Questo consiste nell’esecuzione o di osteotomie, se il paziente è di giovane età (entro la 4° decade, ma indicazione sempre meno frequente) o nella SOSTITUZIONE PARZIALE o TOTALE dell’ingranaggio biologico ginocchio con quello artificiale delle Protesi. Indicazione questa sempre più estesa per la bontà dei disegni e dei materiali.
Se l’artrosi interessa prevalentemente il compartimento femoro-tibiale interno con restringimento della rima articolare com’è nella maggioranza dei casi al suo inizio, può essere impiantata una ARTROPROTESI MONOCOMPARTIMENTALE (parziale).
Questa non solo sostituirà le parti di femore e tibia rovinate dall’artrosi, ma riequilibrerà anche l’assetto funzionale del ginocchio. Questa poi permetterà una riabilitazione molto più rapida (20/40giorni di media). L’intervento infatti è meno invasivo.
Si comprende invece che se il danno artrosico è esteso a tutti e tre i compartimenti del ginocchio bisognerà sostituire completamente l’ingranaggio ginocchio con una ARTROPROTESI TOTALE In questo caso la riabilitazione è più lunga (due mesi di media). Questa protesi è detta di rivestimento delle superfici e viene applicata nella maggioranza dei casi. Quando l’artrosi del ginocchio si accompagna ad una sua grave deformità si rende necessario l’applicazione di una ARTROPROTESI a “cerniera” o “vincolata”.
Questo tipo di protesi, più invasiva, viene impiegata anche quando bisogna REIMPIANTARE una artroprotesi di ginocchio dopo aver rimosso, per varie cause, una precedente.
Dopo che il paziente, tramite consenso informato ha accettato tale indicazione, viene eseguito in anestesia spinale il più delle volte.
L’accesso chirurgico è MININVASIVO, specie nel caso di collocazione di una ARTOPROTESI MONOCOMPARTIMENTALE. Sia nel caso di ARTROPROTESI TOTALE che di quella parziale preferisco collocare, quando possibile, un inserto meniscale mobile. Nella mia esperienza questo permette di far ben tollerare le sollecitazioni rotazionali all’impianto. Le componenti della protesi vengono fissate con cemento, ciò al fine di poter permettere al paziente un immediato ritorno al carico ed al cammino nel post-operatorio.
Contrariamente ad altri colleghi non protesizzo la rotula su cui eseguo gesti di rimodellamento o di eventuale lisi del suo legamento alare esterno per migliorare la sua congruenza.
Dal giorno successivo all’intervento, se possibile, con ausilio di un fisioterapista, il paziente viene aiutato al ritorno al carico ed al cammino (importante specie nel paziente anziano).
Vengono eseguiti movimenti passivi e fatti eseguire quelli attivi di flesso-estensione del ginocchio protesizzato. Questa riabilitazione articolare con ausilio anche di un mobilizzatore meccanico motorizzato (Kinetec) può proseguire o in regime di ricovero in struttura “ad hoc” o al proprio domicilio.
Controlli periodici verranno concordati con il chirurgo.
Al paziente con ginocchio artrosico e di età in feriore ai 65 anni cerco, quando possibile, di avviarlo al trattamento con ARTROPROTESI MONOCOMPARTIMENTALE. La sua riabilitazione, per la poca invasività, è molto più rapida.
La durata nel tempo di questo impianto poi è del tutto simile a quello della ARTROPROTESI TOTALE. Questa, riservata ai casi di danno artrosico maggiore, preferisco sceglierla tra i modelli con sacrificio del legamento crociato posteriore, ma con risultati acclarati da ampi Follow-up pubblicati in letteratura. Questo tipo di protesi, nella mia esperienza ed in molti lavori pubblicati, è garante di un miglior recupero dell’escursione articolare. Questa è difficile da ben recuperare nei paziente di sesso femminile e specie se molto anziani. La infezione e la mobilizzazione dell’impianto, complicanze temibili nella chirurgia protesica, sono presenti nella mia casisistica nel range dello 0,002%.
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